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Affrontare una separazione non è un’impresa da nulla.
Certo, per una coppia ormai in crisi da tempo risulterà senza dubbio una salvezza personale, d’altra parte le problematiche si dimostrano spesso maggiori dei lati positivi, specialmente sul piano economico, nonché su quello psicologico.
In ogni caso però separarsi rimane pur sempre una scelta consapevole e non è dunque giustificabile nessuna omissione ai doveri previsti da questa: questo dovrebbe essere un punto indiscutibile, quantomeno in virtù della presenza di figli, ed in effetti lo è praticamente sempre quando si tratta di separazione consensuale.
Quando i coniugi non sono concordi nel separarsi o nelle condizioni di questa separazione, il rancore che già intercorre tra i due non potrà far altro che aumentare.
Può avvenire allora che il soggetto forte tra i due sentirà sempre più come un fardello pagare l’assegno di mantenimento, mentre l’altro dal canto suo escogiterà le migliori strategie per ottenere maggiori privilegi.
Purtroppo per entrambi è il giudice a decidere, non il loro risentimento.
Una volta stabilito chi sia la parte debole, l’altro non può astenersi dal contribuire alle spese della restante parte di famiglia.
Il principale motivo per cui un genitore dovrebbe adottare tale comportamento è l’impoverimento. Può accadere che il suo stipendio sia a mala pena sufficiente al suo sostentamento personale, o che egli perda il lavoro; niente di tutto ciò giustifica il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento. La legge non ammette deroghe (a meno che non si chieda una rivalutazione delle condizioni economiche):
Articolo 570 del codice penale:
Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa;
Inoltre il coniuge creditore può sempre agire contemporaneamente con un decreto ingiuntivo per il recupero dei crediti spettanti.
Qualunque sia la situazione creatasi tra i due coniugi, non essere in grado di provvedere al bene quantomeno del proprio figlio può risultare una ferita moralmente dolorosa e sconfortante.
Senza contare che quando il conflitto tra i due ex è particolarmente acceso, nulla vieta all’altro di sporgere denuncia anche per un mancato pagamento occasionale; lo incita anzi ben volentieri alla minaccia.
Non sarebbe allora fuori dal normale sentir parlare di spiacevoli avvenimenti, come il suicidio della parte più in difficoltà.
Non esistono ancora leggi che stabiliscano i diritti della parte forte, o lo tutelino in qualche modo. E sotto alcuni punti di vista questo dato può essere ritenuto giusto. Ma lo è anche quando è la vita stessa di una persona ad essere messa in bilico per cause economiche?
La legge tutt’ora non può rispondere a questo quesito. Ciò che fin’ora è stato ritenuto essenziale è stata invece la cura dei diritti della prole, ben delineata nell’articolo 155 del codice civile. Essa è esterna alle decisioni dei genitori e ne subisce però, ingiustamente ogni conseguenza. E’ giusto allora che almeno la legge si occupi di loro prima che di coloro che sono la causa di ogni stravolgimento nella loro vita.